Riconosco una certa nevrosi nel
consumatore moderno.
Si parla di consumatore consapevole, ma io trovo
questa definizione eufemistica, preferendogli piuttosto l'aggettivo
isterico.
E mi azzardo anche ad avanzarne una
causa.
Il mercato moderno, con un fiorire delle catene distributive,
tende alla omologazione e standardizzazione, in vista di un prodotto
meramente perfetto, mentre la spinta individuale è quella di
affermare la propria soggettività e quindi diversità.
Così da un lato ci sei tu-barista con
la bilancia di Starbucks per pesare il Caffè appena preparato, che
ti dice che hai montato il latte a metà strada tra un Capuccino e un
Caffelatte e quindi lo devi rifare perchè sotto gli standards della
catena. Dall'altro hai il cliente che ti arriva alla cassa, chiedendo
un Caffè decaffeinato, con il latte di soya e uno shot di Vanilla,
magari con una punta di schiuma e la polvere di cioccolata ben
distribuita.
Senza esagerazione.
Lasciando da parte i caffè, vorrei
rispolverare un po' di storia della moda a sostegno della mia idea
del consumatore nevrotico-consapevole.
Buoni punti di partenza sono
lo stilista Walter Albini e l'anno '72 con la nascita a
Milano del pret-à-porter. Il primo affermante il total look,
il secondo la contemporanea definizione di moda. Il primo progetta
con genialità dall'abito all'accessorio, dal tessuto al mobile
lasciandoci senza possibilità di giocare con liberi accostamenti, il
secondo restituisce la magia di abiti prodotti in serie, ma di
ideazione artigianale. Entrambi hanno bisogno di un consumatore con
gusto e classe, che si lasci trasportare dalle proposte del momento.
In un rapporto cacciatore-preda, la moda è il leone, il cliente la gazzella.
In un rapporto cacciatore-preda, la moda è il leone, il cliente la gazzella.
I fatti procedono con costanza per
decenni, con un pret-à-porter fagocitante le varie proposte
non-convenzionali provenienti dai contesti più disparati, come la
moda-punk portata in passerella con Vivienne Westwood o lo stile
bondage più volte riletto da Gianni Versace. La strada spinge verso
la differenziazione, la moda appiattisce le spinte contestatarie e
sfrutta le idee della prima per rinnovarsi costantemente.
E poi il salto del XXI secolo: il boom
di H&M e Zara e in generale
del fast-fashion.
Una vera rivoluzione commerciale.
L'abito
“usa-e-getta” che acquisti, mai forse metterai, ma
“tanto-è-economico”, è il principio di un consumismo nel senso
più puro del termine.
Una montagna di abiti senza qualità ed
effimeri inizia ad abitare i nostri armadi.
Il risultato?
La
difficoltà nel poter parlare ancora di moda.
Oggigiorno, molto più
si addice al settore dell'abbigliamento il concetto di stile,
che vede una soggettività forte che vuole catturare se stessa e
tradursi in abito.
Il proprio “Io” è posto dinanzi alle proposte dello
stilista e come post-moderni colibrì ci muoviamo ossessionati
dall'idea di libera espressività tra una catena e l'altra, a caccia
di ciò che ci rende unici.
Ironico fenomeno di
una contemporaneità che mutamente concilia gli opposti, rendendoci
isterici di libertà.
NADIA
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