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martedì 19 giugno 2012

I shop therefore I am




Riconosco una certa nevrosi nel consumatore moderno. 
Si parla di consumatore consapevole, ma io trovo questa definizione eufemistica, preferendogli piuttosto l'aggettivo isterico.

E mi azzardo anche ad avanzarne una causa. 
Il mercato moderno, con un fiorire delle catene distributive, tende alla omologazione e standardizzazione, in vista di un prodotto meramente perfetto, mentre la spinta individuale è quella di affermare la propria soggettività e quindi diversità.

Così da un lato ci sei tu-barista con la bilancia di Starbucks per pesare il Caffè appena preparato, che ti dice che hai montato il latte a metà strada tra un Capuccino e un Caffelatte e quindi lo devi rifare perchè sotto gli standards della catena. Dall'altro hai il cliente che ti arriva alla cassa, chiedendo un Caffè decaffeinato, con il latte di soya e uno shot di Vanilla, magari con una punta di schiuma e la polvere di cioccolata ben distribuita.

Senza esagerazione.

Lasciando da parte i caffè, vorrei rispolverare un po' di storia della moda a sostegno della mia idea del consumatore nevrotico-consapevole. 

Buoni punti di partenza sono lo stilista Walter Albini e l'anno '72 con la nascita a Milano del pret-à-porter. Il primo affermante il total look, il secondo la contemporanea definizione di moda. Il primo progetta con genialità dall'abito all'accessorio, dal tessuto al mobile lasciandoci senza possibilità di giocare con liberi accostamenti, il secondo restituisce la magia di abiti prodotti in serie, ma di ideazione artigianale. Entrambi hanno bisogno di un consumatore con gusto e classe, che si lasci trasportare dalle proposte del momento.

In un rapporto cacciatore-preda, la moda è il leone, il cliente la gazzella.



I fatti procedono con costanza per decenni, con un pret-à-porter fagocitante le varie proposte non-convenzionali provenienti dai contesti più disparati, come la moda-punk portata in passerella con Vivienne Westwood o lo stile bondage più volte riletto da Gianni Versace. La strada spinge verso la differenziazione, la moda appiattisce le spinte contestatarie e sfrutta le idee della prima per rinnovarsi costantemente.



E poi il salto del XXI secolo: il boom di H&M e Zara e in generale del fast-fashion. 
Una vera rivoluzione commerciale. 
L'abito “usa-e-getta” che acquisti, mai forse metterai, ma “tanto-è-economico”, è il principio di un consumismo nel senso più puro del termine. 
Una montagna di abiti senza qualità ed effimeri inizia ad abitare i nostri armadi. 


Il risultato?
La difficoltà nel poter parlare ancora di moda. 
Oggigiorno, molto più si addice al settore dell'abbigliamento il concetto di stile, che vede una soggettività forte che vuole catturare se stessa e tradursi in abito. 
Il proprio “Io” è posto dinanzi alle proposte dello stilista e come post-moderni colibrì ci muoviamo ossessionati dall'idea di libera espressività tra una catena e l'altra, a caccia di ciò che ci rende unici.

Ironico fenomeno di una contemporaneità che mutamente concilia gli opposti, rendendoci isterici di libertà.


NADIA

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